Vivisezione: la scienza nera mascherata da dogma

L’argomento vivisezione è stato affrontato già in diverse occasioni in questo blog, ma non se ne parla mai abbastanza. In un momento particolarmente delicato, in cui si ventila l’ipotesi concreta di chiusura di Green Hill (ma con quale rovescio della medaglia se i cani potranno comunque arrivare dall’estero o sei i reclusi di Green Hill non verranno liberati ma esportati?), vale la pena sviscerare un po’ di più l’argomento.

Lo facciamo riportando in toto, senza modifiche, l’interessante intervento di Francesco Pullia sul webzine Notizie Radicali.

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Si potrebbe sorridere, sia pur di un sorriso appena abbozzato e per giunta venato di amarezza, dinanzi ai pretesti cui si appella, arrancando sugli specchi, chi si fa sostenitore e megafono delle tesi dei signori della vivisezione. Si potrebbe, dicevamo, sorridere se la sterile difesa di pregiudizi antiscientifici nonché di consolidate posizioni di potere non costasse ogni anno un numero impressionante di vite (animali e umane). 

Se nel corso della storia fosse prevalso l’atteggiamento mentale di chi, come i vivisettori e gli pseudo sperimentatori, intende aprioristicamente rendersi sordo e cieco dinanzi all’evidenza e all’evoluzione della ricerca sicuramente ancora negli ospedali si continuerebbe a morire per febbre puerperale. 

Senza andare molto lontano e rievocare l’infame periodo dell’inquisizione (cattolica e, paradossalmente, antiscientifica proprio nelle sue arroganti pretese scientifiche), valga tra tutti ricordare, infatti, il caso del dott. Ignaz Philipp Semmelweis (1818-1865), medico ungherese martirizzato ai suoi tempi per avere capito che le donne che partorivano al primo reparto della clinica di maternità del General Hospital di Vienna morivano in alte percentuali (nove donne su dieci) perché i medici non avevano l’abitudine di lavarsi le mani. 

Il povero Semmelweis, cui un altro medico, Louis-Ferdinand Auguste Destouches, meglio noto come Céline (il geniale, “maledetto”, Céline), dedicherà nel 1924 la sua tesi di laurea, invano intraprese una dura battaglia per convincere colleghi e superiori ad una maggiore igiene prima di ogni visita. Fu sbeffeggiato, ridicolizzato, dichiarato insano di mente, perse il lavoro e morì in disgrazia. 

I suoi detrattori diffusero addirittura la falsa notizia che fosse morto di sifilide, malattia che avrebbe contratto da giovane e che sarebbe stata alla base dei suoi presunti “squilibri mentali”. Solo successivamente, dopo accurate indagini, la calunnia sul suo conto si dimostrò tale e la sua figura fu pienamente rivalutata. 

La sua intuizione, quell’intuizione violentemente irrisa perché veritiera, è ormai ritenuta una tappa fondamentale nel progresso della medicina scientifica. 

Non è forse la stessa sorte che stanno scontando oggi quei medici, quegli scienziati che, opponendosi agli interessi delle industrie farmaceutiche e di baroni universitari smaniosi di finanziamenti (perché di questo si tratta), proclamano l’evidenza di una ricerca, finalmente scientifica, che non richiede inutili sevizie, mutilazioni, uccisioni nei confronti di altre specie viventi? 

I difensori del dogma della vivisezione, trovandosi in palese difficoltà, non hanno nulla di meglio che lanciare il risibile, quanto improprio, epiteto di “fondamentalista” all’indirizzo di chi, con scarsi mezzi ma con la forza della perseveranza, si batte per l’affermazione di nuovi modelli medici ed epistemologici. 

Si sbandiera, a sostegno della presunta validità della vivisezione, il nome di qualche docente universitario uso a scrivere, bontà sua, su giornali confindustriali. Guarda caso, non viene mai, però, pronunciato il nome di un certo Pietro Croce. Già, guarda caso. Dato che ci siamo, vogliamo farlo noi. 

Pietro Croce è stato uno dei più grandi patologi italiani e la sua fama ha attraversato tutti gli oceani. Lavorò alla Colorado University, a New York, a Toledo nell’Ohio, poi a Barcellona, e fu primario di Microbiologia e Anatomia Patologica all’Ospedale Sacco di Milano dal 1952 al 1982. 

Il suo nome è legato a un’opera ancora oggi innovativa, straordinaria, dal titolo altamente emblematico, “Vivisezione o Scienza”. Dopo avere egli stesso praticato per anni la sperimentazione animale, Croce s’accorse dell’inadeguatezza di questo metodo e spese il resto della sua vita a dimostrarlo.

La vivisezione appartiene ad una visione superata dalla stessa scienza, a tempi in cui si credeva che l’animale fosse un buon modello di laboratorio per l’uomo e si studiava l’organismo vivente come una macchina, credendo di riuscire a capirne in tal modo il funzionamento.

Oggi sappiamo quali enormi differenze ci siano tra una specie e l’altra a causa delle complessità di cui ogni essere, strettamente legato anche al proprio ambiente, è portatore. Se ogni specie animale è simile solo a se stessa, diventa lapalissiano ammettere quanto sia fallace incaponirsi a seviziare altre specie per provare sostanze o tecniche chirurgiche da trasferire all’uomo. Tra l’altro, l’eventuale corrispondenza tra l’animale da laboratorio e l’uomo può essere verificata solo dopo la prova sull’uomo stesso, con tutto i rischi che ciò comporta. Si sa, infatti, che prodotti che risultati innocui ad una specie animale si siano, poi, rivelati velenosi per l’uomo.

La sopravvivenza della sperimentazione animale è dovuta alla lentezza di tutti i rinnovamenti culturali ed alla difesa che, con totale disprezzo per la salute umana, viene fatta di colossali interessi economici. costruiti su di essa.

La vivisezione, ha affermato il dott. Stefano Cagno, “ è un metodo economico che consente una rapida carriera universitaria, uno strumento malleabile: un punto di forza quando si tratta di sostenere la validità di un nuovo farmaco, un limite oggettivamente insuperabile quando un medicinale si rivela dannoso per la salute e i produttori devono difendersi in tribunale”. Non è un caso che il 90% dei farmaci testati sugli animali non superi le prove cliniche sull’uomo. Il talidomide non dimostrò di avere effetti in dieci ceppi di ratti, quindici ceppi di topi, undici ceppi di conigli, due razze di cani, tre ceppi di criceti, otto specie di primati, gatti, furetti. In una sola razza di conigli, il coniglio bianco della Nuova Zelanda, si ebbe un riscontro classificato come adeguato. L’acidoacetilsalicilico, la comune aspirina è teratogena, cioè produce malformazioni congenite, nella quasi totalità degli animali e non nell’uomo. Il 51% dei farmaci commercializzati negli Stati Uniti presentano gravi reazioni avverse non manifestate all’interno di sperimentazione sugli animali.

Un esempio molto interessante è quello della clozapina, un antipsicotico che inizialmente è stato messo in commercio, funzionava bene, ma ha provocato un effetto che ha portato alla morte di diversi pazienti. Ritirato dal commercio, è stato nuovamente sperimentato e si è scoperto che questo effetto poteva essere prevenuto con esami del sangue tutte le settimane. Quindi le conoscenze sono state tratte tutte dalla sperimentazione umana e non da quella animale. Perché l’effetto collaterale si è verificato su umani e la soluzione è stata trovata sugli esseri umani.

L’americano Robert Weinberg, scienziato di primissimo piano, professore di biologia al MIT e vincitore della medaglia nazionale della Scienza per avere scoperto il primo oncogene umano e il primo gene soppressore di tumore, ha affermato che i topi presi come modelli dell’uomo in campo oncologico non funzionano. Anche lui sarebbe un “fondamentalista” animalista?

Va proprio bene, dunque, la sperimentazione? E’ necessaria? Davvero non ci sarebbero alternative? A ritenere la vivisezione gravemente colpevole “per atti e omissioni” ai danni del progresso medico sono scienziati di primissimo piano, esperti riconosciuti del settore, non animalisti incalliti.

Oggi possiamo contare su diversi e validi metodi sostitutivi di ricerca. Ad esempio, per i test tossicità sono state sviluppate negli ultimi vent’anni metodologie che vanno dalle colture di cellule e di tessuti umani (che consentono ai ricercatori di studiare specifiche parti del corpo umano) ai microrganismi, dai modelli matematici computerizzati alle tecniche non-invasive per immagini, ai sistemi artificiali (modelli in vitro che simulano una parte del corpo umano).

In un articolo apparso nel 2004 nel British Medical Journal e intitolato “Dove sono le prove che la ricerca su animali porta beneficio agli umani?” i cinque autori (tra i quali ci sono quattro professori universitari di medicina, operanti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti in altrettanti settori diversi) hanno preso in esame venticinque casi di revisioni sistematiche, riguardanti campi differenti come la terapia dell’ictus, il trattamento delle ferite, la resuscitazione dopo dissanguamento, e vari disturbi cardiocircolatori giungendo alla conclusione di una richiesta di moratoria della vivisezione.

Il 10 novembre 2005 la prestigiosa rivista “Nature”, considerata a livello internazionale uno degli organi ufficiali della scienza, pubblicava un lungo e ben documentato servizio, a firma di Alison Abbott, che in sostanza, prove alla mano, non era, né più, né meno, che una requisitoria contro la sperimentazione animale. 

Bastino solo queste citazioni: “I test di tossicità sui quali fanno affidamento i legislatori per raccogliere informazioni sulle sostanze da autorizzare nell’UE sono bloccati in metodi, da tempo superati, che si basano in grande maggioranza sulla sperimentazione animale, dispendiosamente inutile e spesso ben poco predittiva (…). La maggior parte dei test su animali sovrastimano o sottostimano la tossicità o, semplicemente, non sono in grado di fornire dati precisi sulla tossicità riferita all’uomo”. Il dott. Horst Spielman, tossicologo del Federal Institute for Risk Assessment di Berlino, ha riconosciuto: “I test di tossicologia embrionale fatti su animali non sono affidabili per la previsione nell’uomo. Quando scopriamo che il cortisone è tossico per gli embrioni di tutte le specie testate, eccetto quella umana, cosa dobbiamo fare?”.

Alla Arizona State University (ASU), dove si stanno valutando avanzati metodi di ricerca per i laboratori di fisiologia, si sta decidendo di sostituire ai vecchi test effettuati su animali altri con tecnologie, di gran lunga più avanzate, che non prevedono l’uso di animali.

Perché, allora, in Italia dovremmo continuare su una strada sbagliata? Non serve ai malati. Non serve alla scienza. Non serve a nessuno se non a chi lucra sul dolore (umano e delle altre specie).

Posted on 02/08/2012, in Campagne, Cronaca, Dossier, In lotta per and tagged , , . Bookmark the permalink. 1 commento.

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